Diventare scrittori: la regola d’oro da rispettare sempre

Conosco diversi scrittori e molti che aspirano a diventarlo.
Li conosco perché conosco me stessa.
Che ti trovi al primo o al decimo romanzo, la tentazione di piazzarti davanti al PC – o aprire un quaderno sulla prima pagina bianca – e iniziare a scrivere di getto è sempre in agguato.
L’idea che hai appena avuto è geniale vero?
È azzeccata e tu lo senti: questa è la volta buona e il successo è garantito.
E poi, ammettilo: scrivere è bello. Ti piace un sacco.
Ti ci vedi proprio in quel tuo ruolo da scrittore un po’ artista e un po’ professionista. Ogni cosa è sotto controllo: il tuo. Forse hai già fatto un po’ di lavoro sui personaggi – in testa più che altro, a che ti serve un progetto? – e magari tra una doccia la mattina, una call con un cliente e un sugo saltato in padella la sera, hai anche già abbozzato un incipit.

Il tuo posto per scrivere.

Te ne stai lì seduto alla tua scrivania, che poi non è proprio una vera scrivania ma più che altro assomiglia ad un tavolino da bar. Di quelli tondi e pure un po’ scomodi che se il tuo capo ti chiedesse di lavorare lì come minimo lo denunceresti per mobbing.
Invece in questo caso no, perché è il posticino che ti sei creato, te lo sei sudato ed è proprio lì, su quel mezzo metro quadrato di superficie dove stanno appoggiati i tuoi gomiti, che scriverai il tuo romanzo: storia d’amore, thriller, fantasy, romanzo storico o saggio, poco importa.
Ma stai attento! È in questo preciso istante che entra in gioco la regola d’oro che ogni scrittore deve rispettare se vuole davvero scrivere.

La regola numero uno per iniziare a scrivere un romanzo è fermarsi.

Hai capito bene: se vuoi scrivere non scrivere. Non subito, non ora, non senza aver risposto alla domanda più importante che fa parte integrante della regola d’oro e cioè: “perché vuoi scrivere?” È fondamentale non scrivere per tutto il tempo necessario a fornire una risposta esaustiva.
Ma il tempo che ti sembrerà di perdere nel rispondere al quesito, in realtà ti darà un vantaggio rispetto al rischio di andare a schiantarti in modo diretto e quasi certo contro il muro dell’editoria e decretare il definitivo fallimento della tua idea. Sebbene credevi fosse così geniale, potresti  finire il quel maledetto vortice di frustrazione che ti farà precipitare nel circolo malefico del “sono loro che non capiscono che sono un genio-il mondo fa schifo-a pubblicare sono sempre gli stessi raccomandati”.
Per dirla in modo meno tragico, voglio evitarti il rischio di disperdere energia inutilmente, di dedicare anima e corpo ad un lavoro che potrebbe davvero avere un potenziale se solo tu avessi la forza di progettarlo al meglio. Devi poter evitare in tutti i modi di incappare nei mille dubbi che, prima o poi, finiscono per assalire qualsiasi scrittore (anche il più affermato, credimi!) nel momento in cui ha un’idea che non ha ancora iniziato a sviluppare.

Prendersi il tempo prima di iniziare a scrivere

diventare scrittori la regola d'oroMa andiamo per ordine. Il modo più potente per minimizzare le emozioni negative che sbucano da tutte le parti e che finiscono per indebolire la determinazione anche più ostinata dello scrittore è solo quello di riflettere bene prima di iniziare, in modo da fornire la risposta alla domanda fatidica: “perché voglio scrivere?”
Chiedete a qualsiasi autore e vi dirà che non esiste una formula magica, nessuna preghiera o mantra e nessun escamotage che porti un libro al successo – il più delle volte neppure alla pubblicazione -; mentre ne esiste una, certa, che può condurti dritto al fallimento.
E questa è il non conoscere a fondo il perché si vuol fare ciò che si sogna di fare. I due aspetti vanno sempre a braccetto.

Scrivere un libro è un’impresa di creatività complessa

Scrivere un libro è una fatica immensa. Se non sai perché lo vuoi fare proprio in quel modo, l’impresa diventa sfiancante e non ti conduce all’obiettivo. Il sogno diventa un incubo.
Ma voglio provartelo: anziché di scrivere un libro, immagina di dover costruire una casa. Hai girato per un bel po’ attraverso i quartieri della città per capire che tipo di casa ti piacerebbe. Hai sfogliato riviste, hai cercato in rete, hai anche consultato dei progettisti e degli architetti. Hai visto il tipo di piastrelle che vorresti mettere in bagno, e magari hai già pensato all’arredamento.
Nella tua mente vedi la tua bella cucina nuova dove hai appena concluso una cena con gli amici, poi ti immagini di andare di là a farti un bagno nella vasca idromassaggio prima di dormire. Insomma, non vedi l’ora di iniziare a metterla su questa casa fantastica.
Che ci vuole? Così il giorno dopo ti presenti dalla ditta a cui pensi di affidare l’appalto per i lavori e il titolare inizia a farti domande tipo “quando grande lo vuoi il bagno?”
E tu rispondi che lo vuoi grande: non sai di preciso, ma grande. Allora lui ti dice che per la Jacuzzi ci vuole un solaio rinforzato – e tu mica lo avevi previsto! – e via così per tutto il giorno: lui pone obiezioni e tu non sai più cosa rispondere.
Sfinito, chiudi gli occhi e immagini le cose ma quell’uomo ti ha appena fatto capire che realizzarle ci vuole altro. E ti rendi conto che ti occorre un progetto che sia coerente con una motivazione. E che per riuscire a configurare quel progetto devi conoscere qual è il tuo perché personale. Devi sapere che vuoi una stanza da bagno di almeno venti metri quadrati perché ci sia posto per quella benedetta vasca.

Conoscere il tuo perché ti aiuta ad immergerti nell’opera

diventare scrittori la regola d'oroLa domanda non è generica e non può esserlo la risposta. Domandarti perché vuoi scrivere proprio questo romanzo è ben diverso dal chiedere perché vuoi fare l’esperienza della scrittura. Fama, denaro, dimostrare qualcosa a qualcuno…tutto vero.
Personalmente so perché mi esalta esperire la scrittura: la amo, mi piace scrivere, quando sono ben organizzata e ho un buon progetto mi diventa perfino rilassante. E sogno di diventare famosa: perché no? Credete che sia l’unica? Ma queste sono risposte che il novantanove per cento degli scrittori darebbe. Il cento per cento se fossero tutti onesti.
Detto questo, fugato qualsiasi dubbio sulle motivazioni generiche, la domanda vera è un’altra: perché vuoi scrivere proprio questo libro? Cosa significa per te? Perché è così importante? Perché ti interessa così tanto?
A chi dice che scrive solo per se stesso credo poco: in ogni scrittore c’è un lato narcisistico che spera soltanto di essere messo in luce. Vogliamo essere ascoltati. Vogliamo essere letti. Desideriamo ardentemente avere un impatto in questo mondo, lasciare un segno sugli altri, un’eredità ai nostri figli e un dono ai nostri genitori. Spesso lo abbiamo sognato fin da bambini, ci abbiamo provato: abbiamo scritto e poi buttato, siamo arrivati a vergognarci dei nostri pensieri eppure lo vogliamo ancora.
Queste sono motivazioni molto potenti che possono guidare la scrittura e che ci aiutano a capire quale progetto vogliamo configurare per realizzare il nostro sogno più intimo.

Il perché si sceglie di scrivere riguarda solo noi stessi

Solo nel momento in cui ho deciso di rispettare la regola d’oro della scrittura e mi sono fermata a riflettere, a rispondere alla fatidica domanda, sono riuscita a dare forma a progetti tagliati su misura e a configurare i miei libri esattamente per come volevo che li accogliesse il mio pubblico.
Sì perché i lettori quasi mai comprano un libro: il più delle volte comprano il motivo per cui noi lo abbiamo scritto.

Il sentimento guida può essere anche doloroso

Il mio perché era il sentimento di estraneità che ho sempre percepito vivendo nella mia terra, l’Alto Adige, da figlia di terza generazione di immigrati da altre regioni d’Italia in un luogo che prima della guerra era suolo austriaco. La mia è una terra complessa.
È il luogo in cui sono nata e di cui vado orgogliosa, e dove a volte, ancora oggi, mi capita di sentirmi apolide. Non ho nessun patrono da festeggiare, nessuna processione cui partecipare, nessuna usanza è sopravvissuta all’immigrazione italiana.
La mia terra è un incrocio di culture, una piccola Europa, un modello di pacifica convivenza e di autonomia.
Eppure è una terra chiusa, provinciale, ancora stritolata da retaggi culturali obsoleti. Sono cresciuta senza una pelle che mi proteggesse dal senso di estraneità laddove avrei dovuto sempre sentirmi a casa.
Questa condizione può rendere la quotidianità dolorosa ma al tempo stesso mi ha aiutato a dare vita a personaggi particolari e a scrivere libri che hanno finito per esorcizzare il mio disagio.
Quindi, dopo esserci passata, accetta il mio consiglio se ti va: prima di scrivere siediti, aspetta e cerca il tuo perché profondo.

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Category: Pensieri

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