Come scrivere dialoghi efficaci: ecco alcuni consigli

Nel processo di stesura di un romanzo, le parti dialogate sono sicuramente tra i passaggi più difficili. Si tratta di elementi importantissimi poiché rappresentano interazione tra i personaggi e servono per catturare l’attenzione del lettore, coinvolgendolo maggiormente. Allo stesso tempo però ricreare una situazione che non suoni falsa e artificiosa non è facile: le conversazioni devono infatti far dimenticare a chi legge che la storia è inventata, non renderlo partecipe del trucco.
Il coinvolgimento del parlato chiama in causa il senso dell’udito e deve dare al lettore l’idea di trovarsi proprio insieme ai personaggi, di essere loro complice. Ma proprio perché il livello di coinvolgimento richiesto è altissimo, è necessario che chi scrive sappia perfettamente cosa fare. Ecco dunque alcuni consigli da applicare ed errori da evitare su come scrivere dialoghi efficaci.

Come scrivere dialoghi efficaci: alcuni consigli

Un dialogo può avere varie funzioni: far progredire la storia, caratterizzare i personaggi, coinvolgere il lettore nell’ambiente descritto. Analizziamo quindi tutte le caratteristiche che in un dialogo ben realizzato non possono mancare.

La progressione delle vicende

La prima cosa che sicuramente un dialogo efficace deve fare è dare nuove informazioni, permettere alla storia di andare avanti. Infatti senza questa funzione il lettore penserà di perdere tempo, la conversazione gli sembrerà inutile. I dati presenti in queste righe devono essere nuovi e rivelatori in modo che ogni dialogo, affinché la trama regga, non possa essere eliminato. Nonostante nella nostra quotidianità tendiamo ad assistere e partecipare a conversazioni inconcludenti, in un libro tutto deve avere uno scopo preciso, sono bandite le chiacchiere. Il dialogo è infatti un modo più interessante di svelare notizie importanti a chi legge, evitando il solito lungo paragrafo esplicativo attribuito al narratore. Sono i personaggi stessi che forniscono la rivelazione.

La voce del personaggio

Nella vita di tutti i giorni ognuno di noi ha un diverso modo di parlare, una voce unica e individuale dipendente da età, livello di istruzione, professione, contesto e via dicendo. Così anche le figure di un libro devono distinguersi chiaramente in base a come si esprimono. C’è differenza tra un liceale che si esprime spesso con gergo e lessico scurrile, una donna timida, sensibile e incline ai sentimentalismi, un uomo brusco e risoluto. I tre hanno personalità diverse e su di esse devono basarsi le loro battute, a livello di sintassi e lessico, ma anche con la presenza di vezzi linguistici, intercalari, ripetizioni o dialettismi. Ogni personaggio dimostra la propria conoscenza del mondo attraverso il modo di esprimersi, che deve rimanere costante per tutta la narrazione. Il dialogo quindi è lo strumento che l’autore usa per far emergere il carattere dei propri personaggi direttamente da loro: no all’uniformazione, poche righe possono essere in grado di rivelare un carattere forte, seducente, gioviale o ostile.

L’interruzione

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Un dialogo può avere varie funzioni: far progredire la storia, caratterizzare i personaggi, coinvolgere il lettore nell’ambiente descritto
Per dare l’idea che una conversazione sia realistica è bene interromperla con brevi azioni veritiere, come una mano tra i capelli, uno sguardo, un sorso di caffè. Ciò è utile per due motivi. In primo luogo si evita il fastidioso effetto “botta-risposta” continuo. Inoltre serve a contestualizzare visivamente la situazione, dare l’idea di cosa sta accadendo intorno ai protagonisti, che dovrebbero parlare calati in una scena di vita vera. Con gesti apparentemente insignificanti si forniscono informazioni sul luogo e sul tempo in cui si svolge il dialogo senza rendere ingombrante la voce del narratore. Il lettore riesce così a immaginare la scena nella propria mente in ogni dettaglio, quasi come se la stesse vivendo in prima persona. L’immedesimazione di chi legge e il suo contatto diretto con i personaggi è l’obiettivo ultimo di un buon dialogo, dunque è necessario evitare le cosiddette “voci nel vuoto”, ovvero le conversazioni che si riducono alle sole battute senza che esse siano calate in un determinato ambiente.

Come scrivere dialoghi efficaci: gli errori da evitare

Per comprendere come scrivere dialoghi efficaci non è solo necessario sapere cosa fare, ma anche cosa non fare. Ecco dunque alcuni degli errori più frequenti a cui prestare attenzione nella stesura di un romanzo.

L’infodump

Se a primo acchito sembra una parola incomprensibile, una volta scoperta la natura di questo errore ci si accorge della quantità spropositata di volte in cui lo si trova all’interno di un libro. Si tratta semplicemente dell’utilizzo dei dialoghi per spiegare retroscena, informazioni sulla trama che il lettore non conosce, ma che per i personaggi dovrebbero essere ovvie. Il fatto che un personaggio fornisca indizi troppo espliciti e inspiegabili dal suo punto di vista, può sembrare poco realistico. Mettergli in bocca concetti evidentemente a lui già noti solo per farli conoscere al lettore appesantisce il racconto, rendendolo artificiale. Chi legge si accorge che queste battute sono state scritte apposta per lui perché in un dialogo reale non verrebbero mai pronunciate e potrebbe spazientirsi.

La perfezione

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Tra gli errori più comuni nella stesura di un dialogo figurano l’infodump o la tendenza alla perfezione letteraria
Un altro errore nella creazione dei dialoghi è commesso da chi, scrivendo un libro, pensa che il linguaggio debba essere per forza “letterario”, perfetto. In una conversazione reale però è difficile che si parli come in un libro stampato, con termini ineccepibili, sintassi eccellente, frequenti avverbi in -mente. Visto che è raro che qualcuno si esprima così, risulterebbe poco credibile un personaggio abituato a parlare in questi termini. Sono dunque accettati congiuntivi sbagliati, costrutti imperfetti, errori grammaticali e sovrapposizioni, ma senza esagerare!

I dialogue tag

Uno degli elementi più presenti all’interno dei dialoghi è sicuramente il verbo di narrazione: dire, affermare, domandare, rispondere. Tali termini sono detti “dialogue tag” e hanno la funzione di indicare chi parla. Un errore molto diffuso soprattutto tra gli esordienti è quello di identificare continuamente i partecipanti. Il lettore infatti di solito riesce a capire a chi corrispondono le battute, dunque a meno che non sia necessario non fargli perdere il filo, si consiglia di usare meno dialogue tag possibili e solo quelli che possono fornire dettagli concreti sullo stato d’animo di chi parla come “urlare” o “sussurrare”. Al loro posto possono essere usati quei piccoli gesti di cui si parlava poco sopra, detti tecnicamente “beat”, ovvero accenni ai comportamenti dei dialoganti durante la conversazione per dare maggior dinamismo e veridicità.

La punteggiatura

I dialoghi nei testi narrativi sono di solito evidenti a colpo d’occhio perché strutturati a livello grafico da frequenti “a capo” e particolari segni di interpunzione. Un errore di molti esordienti è permettersi licenze poetiche evitando la punteggiatura specifica del dialogo. Alcuni autori, come José Saramago, contraddicono queste regole, ma si tratta di professionisti abili e dall’indubbio talento artistico. Possono dunque permettersi degli sgarri perché sanno come modularli. Gli scrittori alle prime armi invece è meglio che si attengano al metodo di base, utilizzando, in base soprattutto alle indicazioni delle case editrici, le virgolette basse («…»), quelle alte (“…”) o i trattini lunghi (˗ … ˗).

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Category: Pensieri

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