Il tempo per scrivere

Scrivere è un mestiere lento

Una delle cose che spesso si sente dire un editor che lavora con gli scrittori alle prime armi è: Non  ho abbastanza tempo da dedicare alla scrittura, ho il lavoro e la famiglia a cui badare, e gli amici, e la vita (che ovviamente sono tutte occupazioni sacrosante, inevitabili anche per gli scrittori già pubblicati, ma non è questo il punto). Oppure: Non mi stanno pagando per questo libro, finché non vedrò un anticipo non potrò dedicarmici più di tanto. Oppure, ancora: Ora voglio pubblicare in fretta, ho già dedicato fin troppo tempo a questo progetto. Il tono, a volte, è di malcelato fastidio, come se fosse stupido, o irresponsabile, dedicare più tempo del necessario a una disciplina in fondo secondaria come la scrittura.
Ora: le storie e i libri sono secondari rispetto a buona parte delle priorità della vita, è vero. Prima si paga l’affitto e poi ci si mette a scrivere un romanzo, o un saggio. Ma, anche a prescindere dall’importanza che la scrittura ha o dovrebbe avere nella nostra civiltà (le narrazioni, che siano storie o argomentazioni saggistiche, sono da sempre uno dei modi in cui proviamo a districare la complessità del reale) e a prescindere dal fatto che chiunque si metta a scrivere (anche se il suo scopo è arricchirsi coi romanzi rosa) dovrebbe essere consapevole di tale importanza, la questione non è così semplice. Scrivere è un processo stratificato e lento: il tempo serve, non si scappa. E questo tempo bisogna prenderselo: perché altrimenti scrivere bene è impossibile, e a quel punto tanto vale non sprecare, nel tentativo, nemmeno un minuto di quel tempo così prezioso.

Niente fretta, per una volta

In questo, il mestiere di scrivere è un mestiere profondamente, intrinsecamente inattuale. Non valgono i valori della performanza, della rapidità, della capacità di reagire tempestivamente, dell’immediatezza e del decisionismo. La fretta e l’ansia di concludere, in questo campo, sono sempre un problema. Il tempo nella scrittura serve per molte cose, e l’elenco che segue non ha la pretesa di essere esaustivo:
Per allenarsi. Una parte importante della scrittura si basa su processi mentali irrazionalizzabili. Il senso del ritmo, delle sillabe che procedono fluide una dopo l’altra, così come la capacità di ottenere sfumature diverse giocando con diverse strutture linguistiche sono cose che bisogna interiorizzare, che non basta comprendere una volta per saper usare. Bisogna lasciare alle mani il tempo di imparare a condurre la penna (o a muoversi sulla tastiera) con sicurezza, affinando la sensibilità attraverso l’esperienza: così facendo, durante la scrittura le dita faranno il loro lavoro frasi e la razionalità sarà libera di occuparsi del resto.
Per evitare figuracce. A tutti capita di pensar cazzate e di convincersi, per mille motivi, che siano valide o addirittura brillanti. Ma chiunque abbia riletto dopo mesi o anni un proprio scritto sa che il tempo fa decantare un testo, portando impietosamente a galla molto di ciò che non funziona. Tornando su quello che abbiamo scritto noteremo le lungaggini, le ingenuità, le cose che pensavamo di aver fatto in modo geniale e invece sono solo stupide. Un testo consegnato in fretta e furia è un testo di cui, prima o poi, ci vergogneremo.
Per capire se stessi. Le persone cambiano, ma mai del tutto: c’è sempre qualcosa che rimane attraverso gli anni, un nocciolo duro, un minimo comun denominatore che costituisce la nostra identità, la nostra specificità. Nella scrittura, questo significa che lasciando decantare un testo sarà più facile distinguere tra ciò che volevamo dire un tempo ma che ora non ci appartiene più e ciò che invece rimane prioritario comunicare. Tornare sul testo per concentrarsi su questi ultimi elementi magari non renderà il risultato più valido in termini assoluti, ma di certo lo renderà più personale e solido.
Per diventare lettori di noi stessi. Si presuppone che chi scrive qualcosa sappia dove sta andando a parare, e conosca i passaggi per arrivarci. Questo rende molto difficile comprendere se ciò che abbiamo chiaro in testa sia chiaro anche per un lettore, che invece non sa in anticipo dove sta andando. Anche in questo caso, aiuta lasciar passare del tempo (abbastanza per dimenticarsi delle strutture logiche e narrative che abbiamo usato) prima di concludere la scrittura: in questo modo sarà più semplice capire se il testo va dritto al punto o se la resa è ancora confusa e opaca.

Se va bene, è l’ultima volta che il tempo c’è

Chiunque si augura che la pubblicazione del proprio libro conduca a una carriera florida: presentazioni, festival, incontri, contratti per millemila libri. Difficilmente accadrà nei termini in cui uno se lo sogna, ma in caso di pubblicazione il libro d’esordio sarà l’unico in tutta la vita a cui si sarà potuto dedicare il tempo che serviva. Nessuno si aspetta qualcosa che ancora non esiste. Dopo, se le cose funzionano, ci sarà sempre qualcuno in attesa, una scadenza, un’aspettativa, un contratto a sancire una deadline. E continueranno a esserci la famiglia, la vita, gli amici, gli altri impegni e probabilmente il lavoro. In altre parole, il primo libro è l’unico per cui nessuno vi metterà mai fretta: approfittatene.

Post Scriptum: tempo e lettura

il tempo per la scrittura
Spesso gli scrittori si lamentano di non potere, e di non volere, dedicar troppo tempo alla scrittura.
Spesso gli scrittori si lamentano di non potere, e di non volere, dedicar troppo tempo alla scrittura. E qualcosa di simile, a volte, la dicono anche i lettori: Non ho tempo per leggere libri lunghi, perché gli scrittori non fanno cose più brevi e rapide e chiare e semplici, che io non ho tempo di concentrarmi su cose troppo complicate?
Per tutti gli scrittori che siano tentati di accontentarli, la domanda da porsi è: Perché dovrei? Ogni storia ha una sua lunghezza, un suo tiro, una sua dimensione. Così come non ha senso mandarla per le lunghe a caso, non ha senso nemmeno appallottolarla solo per questioni di minutaggio. Così come non ha senso accorciare le frasi per renderle leggibili a un lettore distratto, o tagliare con l’accetta la struttura solo per rendersi immediatamente comprensibili, se i temi di cui si vuole parlare non sono immediatamente comprensibili. Le frasi sono quelle di cui ha bisogno la storia, brevi o lunghe che siano. E ogni argomentazione ha bisogno dei giusti passaggi logici per dispiegarsi ed essere chiara: non troppi, ma nemmeno troppo pochi. Non gratuitamente complicati, ma nemmeno gratuitamente semplificati. In altre parole: se uno ha fretta è un problema suo. Un problema legittimo, certo: ma così come il mondo non smette di essere complicato per venire incontro alla nostra limitata disponibilità di tempo per comprenderlo, allo stesso modo chi scrivendo cerca di raccontarlo, questo mondo, ha il diritto e il dovere di non banalizzare i suoi tentativi soltanto per garantirsi maggiori attenzioni.

Umberto Ledda. Copyright © 2022 All rights reserved.

Foto di Monstera da Pexels
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Category: Pensieri

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